23 aprile 2024
Aggiornato 22:00
L'analisi dopo il voto

La Waterloo del PdS, il «Partito di Serracchiani»

I dem non solo perdono Trieste e Pordenone, ma consegnano al centrodestra Cordenons e perdono pure le fusioni comunali. La presidnete paga una guida del partito troppo autoritaria?

TRIESTE - Molto di più di una battuta di arresto. Molto oltre una semplice sconfitta. Quella subita dal Pds (Partito di Serracchiani) in Friuli Venezia Giulia è una vera Waterloo. Oltre un mese fa dedicai una lunga disamina sullo strapotere della 'zarina' dentro il partito e in Regione e dell’uso improprio (uitilizzo un eufemismo) che lei fa del medesimo. E scrissi che se il Pd avesse perduto Pordenone e Trieste, per la ‘padrona’ dei dem sarebbero stati guai grossi. Bene, il Pd non ha soltanto preso due sonori ceffoni a Trieste e Pordenone, ma ha consegnato al centrodestra anche Cordenons e ha perso pure le fusioni comunali. Si può consolare soltanto con la vittoria di San Vito al Tagliamento, il cui sindaco – va precisato – non è un renziano.

Serracchiani e il partito «a sua immagine e somiglianza»
Bilancio catastrofico, dunque. Serracchiani raccoglie quello che ha seminato sia da governatrice, sia da vice segretaria nazionale del Pd. Ma è riuscita a fare anche di peggio perché non ha avuto la benché minima sensazione che il suo consenso si stava sgretolando giorno dopo giorno, ebbra com’era soltanto di specchiarsi nei tributi sussiegosi  che la stampa amica le tributava quotidianamente.
La definii, un mese, la governatrice ‘posso voglio comando’. Tre parole che di certo non bastano a spiegare i gravissimi errori di una governatrice che all’autorevolezza preferisce l’autoritarismo in giunta come nel partito e che al confronto dialettico antepone l’arroganza e il decisionismo spinto. Chi non è con lei viene sistematicamente messo ai margini. Si è creata così un partito a sua immagine e somiglianza, fatto di cortigiani e ‘yes man’ e poco le importa se il suo Pd perde in Fvg dalle 700 alle 800 tessere l’anno. Un’emorragia devastante che avrebbe dovuto allarmare lei e il suo ‘cerchio magico’. Un partito che funzioni sarebbe corso ai ripari, avrebbe convocato più e più volte la segreteria regionale per capire cosa stesse accadendo, per cercare di invertire la rotta. Per ascoltare, soprattutto, quei tanti giovani rimasti delusi dall’andazzo autoritario e dispotico di un partito non liquido ma in liquefazione.

Manca il senso di autocritica
Ma Serracchiani, ahi lei, il verbo ascoltare non lo usa, non le piace e lo evita accuratamente sia quando si tratta di accelerare sulle riforme della Sanità e degli enti locali con l’obiettivo di fare la prima della classe di fronte a Matteo Renzi, sia quando qualcuno tenta di farla recedere dal suo modo prepotente di imporsi sempre e comunque.
Temo che il tonfo elettorale non riesca a indurre la nostra a una spietata autocritica. Del resto il Matteo premier tra le prime dichiarazioni subito dopo gli exit pool è riuscito a dire che forse ha rottamato poco. Se anche la numero due dei dem dovesse imboccare questo vicolo cieco nei prossimi mesi ne vedremo davvero delle belle. Un partito con la ‘p’ maiuscola, vale a dire un partito vero e non un comitato elettorale come il Pd del Fvg, oggi vivrebbe una giornata frenetica, convulsa, con richieste di analisi spietata del voto. Fatto è che la Serracchiani ha asfaltato i suoi oppositori, intimorito chi non la pensa come lei, zittiti anche con male parole quanti ‘osano’ contraddirla.

2018: verso un bagno di sangue per il Pd? 
Scrissi appunto che se avesse perso Pordenone e Trieste avrebbe dovuto fare una feroce autocritica, una bagno di umiltà nel tentativo di raddrizzare una barca che sta desolatamente affondando. Nessun presidente della Regione ha mai avuto il potere di Serracchiani dentro e fuori del partito. A Trieste, tra l’altro, si giova della presenza  del capogruppo alla Camera, che pure non è riuscito ad arginare la sconfitta di Cosolini, diventato la vittima designata della sciagurata politica del Pds. Da qui al 2018 c’è tanto tempo. I ceffoni elettorali rischiano di ridimensionare drasticamente le ambizioni di una Serracchiani che da sempre ha governato in prospettiva, con il biglietto di sola andata per la Capitale ben custodito in borsetta. Le sue quotazioni dentro il partito, dicono fonti romane, sono in ribasso e più di qualcuno ipotizza che Renzi le potrebbe imporre un altro giro di giostra in Fvg. Serracchiani sa che l’appuntamento elettorale del 2018 con queste prospettive e con lei candidata presidente, potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue. C’è ancora tempo, per le elezioni regionali. Il tempo invece per un vigoroso passo indietro nei metodi di governo e di conduzione del partito potrebbe essere già scaduto.